GIANNI COLOMBO

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BIOGRAFIA


Protagonista dell’arte cinetica e programmata che si è sviluppata a livello internazionale nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta, Gianni Colombo ha anticipato molte delle tematiche più attuali nell’arte. Ha elaborato inedite definizioni dell’opera d’arte come ambiente abitabile e campo di partecipazione attiva. Attraverso l’uso del movimento, della luce e dello spazio, concepisce opere e ambienti che, agendo attivamente sulla percezione fisica e sensoriale dello spettatore, testimoniano la possibilità di fare esperienza e di conoscere il mondo toccandolo ed, essendone toccati. Per Colombo, lo spazio è sempre partecipato e l’esperienza è sempre esperienza della, e nella, partecipazione. Interessato al Surrealismo di Max Ernst e al lirismo poetico di Paul Klee, Colombo studia all’Accademia di Belle Arti di Brera. Tra il 1955 e il 1961 espone opere in ceramica ma la sua ricerca si caratterizza presto per la sperimentazione di materiali e linguaggi diversi come il feltro e l’ovatta. Colombo frequenta la fervida scena artistica milanese degli anni Cinquanta; è vicino al gruppo dei nuclearisti, agli Azimuth e soprattutto allo Spazialismo di Lucio Fontana. Nel 1959 fonda il Gruppo T con Giovanni Anceschi, Davide Boriani e Gabriele De Vecchi, ai quali si aggiunge presto Grazia Varisco. Il gruppo propone un’arte cinetica dove l’opera si sviluppa temporalmente (da cui il nome del Gruppo dove “T” indica il tempo). Abolendo i confini tra pittura, scultura e architettura, le loro opere sono programmate come dei test psicologici sulla percezione o dispositivi ludici di emancipazione personale. Colombo instaura un rapporto diretto con lo spettatore, chiamato spesso ad attivare, anche manualmente, i meccanismi che costituiscono le opere. La prima personale di Colombo è Miriorama 4 in occasione della quale Colombo espone le opere cinetiche Rilievi intermutabili, Superfici in variazione e Strutturazioni pulsanti. A partire dal 1964 l’artista realizza opere caratterizzate da movimenti rapidi di luce che agiscono sul sistema visivo attraverso la produzione di immagini residue (after-images). Tali meccanismi, coniugati all’interesse per lo spazio architettonico, conducono Colombo a produrre il suo primo ambiente Strutturazione cinevisuale abitabile nel 1964, ricostruito in occasione di questa mostra. Seguono altri importanti ambienti quali: After-Structures (1966), Spazio elastico (1967) e Zoom Squares (Quadrati deformati) (1970), anch’essi presenti in mostra. Nel 1968 Colombo vince il premio per la pittura alla Biennale di Venezia per lo Spazio elastico, ambiente al cui interno il movimento degli elastici visto attraverso la luce di Wood crea sorprendenti effetti di disorientamento spaziale nello spettatore che diventa attore dell’opera. A partire dagli anni Settanta, Colombo realizza le Bariestesie (1974-75) e le Topoestesie (1975-77), spazi praticabili in cui, rispetto al passato, manca l’elemento elettronico. Si tratta di strutture elementari in cui è componente essenziale la condizione di transito del visitatore. Tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, l’artista progetta nuovi ambienti, anche per spazi esterni. Conclude la mostra Opus incertum (1992), l’ultima opera realizzata da Colombo, nonché un’ampia selezione di modelli architettonici che dimostrano l’interesse di Colombo per la fase progettuale della creazione artistica – sebbene sempre realizzata con senso ludico e leggerezza. Negli anni della sua formazione, Colombo si avvicina all’umorismo e al senso ludico di Bruno Munari e soprattutto allo Spazialismo di Lucio Fontana, che è tra i suoi primi sostenitori. Sviluppando premesse futuriste dell’inizio del Ventesimo secolo, Fontana sosteneva l’esigenza di trascendere il quadro o la scultura dell’arte tradizionale per compenetrare opera e spazio reale attraverso lo sguardo e l’esperienza spaziale e temporale dell’osservatore e solo in poche occasioni ha realizzato ambienti di luce. Se Fontana è l’artista che ha definito opera d’arte lo spazio stesso dell’opera, Colombo, con le sue opere luminose programmate e, successivamente, con gli ambienti, indaga l’arte come spazio partecipato. Egli sperimenta – attraverso giochi di luce, strutture a movimento rapido e immagini prodotte da flash ritmici – i meccanismi della percezione e la possibilità di attivare le immagini residue (after-images) nella retina dell’osservatore. Nascono così le After-Structures, ambienti definiti dal movimento di proiezioni luminose, ma anche ipnotiche opere da tavolo i cui riflessi si estendono allo spazio circostante. Anche i Roto-Optic e gli After-Points appartengono a questo ciclo di opere: essi catturano lo sguardo dello spettatore attraverso le scie luminose dei colori complementari rosso e verde. I successivi 0-220 Volts, mediante l’attivazione alternata luce/buio, e la transizione tra essi, suggeriscono un meccanismo che si estende nello spazio, in sintonia con la ricerca sugli ambienti dell’artista. Le Cromostrutture sono invece oggetti in plexiglas e lampade a funzionamento ritmico e programmato basate sullo spettro cromatico. Realizzate a partire dal 1959 ed esposte alla prima mostra personale di Colombo Miriorama 4 alla Galleria Pater di Milano nel 1960, le Strutturazioni pulsanti sono tra le prime opere cinetiche a movimento elettromeccanico. Sono per la maggior parte opere tridimensionali formate da piccoli blocchi in polistirolo bianco i quali, tramite un’animazione elettromeccanica, pulsano creando uno spaesamento visivo e spaziale. Non direttamente manipolabili, queste opere – “muri”, come usava chiamarli l’artista – esprimono la sensualità tattile del movimento lento e la seduzione dell’oggetto in trasformazione capace di penetrare lo spazio dello spettatore ritmicamente, senza spettacolo, evadendo di conseguenza ogni definizione statica dell’oggetto d’arte. Le Strutturazioni pulsanti rientrano nella storia del quadro monocromo che attraversa tutto il ventesimo secolo e sono da leggere in relazione alle opere coeve del Gruppo Zero in Germania e di Piero Manzoni ed Enrico Castellani in Italia. A differenza di questi, però, Colombo si interessa a dare vita all’opera che sembra letteralmente “respirare”. Dalla metà degli anni Settanta, Colombo indirizza la propria ricerca verso la realizzazione di ambienti caratterizzati dall’uso di piani inclinati, archi, colonne ed elementi architettonici manipolati e deformati, in cui la condizione di transito del visitatore è componente essenziale dell’opera. Itinerari discontinui e senza meta, piani a forte pendenza, labirinti, pilastri diversamente inclinati causano nello spettatore un vero e proprio disorientamento motorio. Nascono così a partire dal 1974 le Bariestesie e dal 1977 le Topoestesie. Obiettivo di tali lavori è modificare le sensazioni dello spettatore rispetto alla percezione dei luoghi, mostrando l’inerzia presente nel loro utilizzo normale. L’ambiente Bariestesia viene presentato per la prima volta a Milano nel 1975 e riproposto in diverse occasioni tra cui la mostra Didattica a Modigliana nello stesso anno, la cui versione è presente in mostra. Bariestesia, disarticolando l’ordine ripetitivo e la pendenza costante dei gradini, suscita una forma di apprensione tattile e di reazione cinestesica che si sviluppa attraverso la serie dei passi in successione sulle scale.