ELISEO MATTIACCI

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BIOGRAFIA


Eliseo Mattiacci è nato a Cagli (Pesaro) nel 1940. Nel 1964 si stabilisce a Roma. Del 1967 è la sua prima mostra personale: Mattiacci invade la galleria La Tartaruga di Roma con un tubo snodabile di ferro nichelato, lungo 150 metri, smaltato di "giallo Agip", dopo averlo trasportato per le strade della città insieme a un gruppo di amici. Il Tubo, modificato in relazione ai diversi contesti, è presentato lo stesso anno in diverse rassegne tra cui "Arte Povera e Imspazio" alla Galleria La Bertesca di Genova, la mostra a cura di Germano Celant, che segna l'avvio della vicenda critica dell'Arte Povera.
Nel 1968 a L'Attico di Roma, Mattiacci espone per la prima volta un nuovo ciclo di sculture. Risalgono a quegli anni lavori realizzati con oggetti d'uso o materiali industriali manipolati, che provocano insolite esperienze tattili o esaltano visivamente la forza di gravità, il peso, il magnetismo: Bilico, Cilindri deformati a elicoide, Pneumatici d'autotreno, Contrasti di peso, Calamita e trucioli.
Dal 1968 si intensificano le opere di Mattiacci concepite nei termini di un'azione, in alcune delle quali lo spettatore viene coinvolto nel processo creativo. Risale a quell'anno "Lavori in corso", realizzata al Circo Massimo a Roma insieme agli allievi dell'Istituto d'Arte.
L'indagine della propria identità in relazione all'altro da sé, l'interesse per le culture diverse da quella occidentale, la verifica dei modi della comunicazione, sono i temi centrali del lavoro di Mattiacci nel corso degli anni Settanta. Nel suo complesso rappresenta una riflessione sui diversi temi della comunicazione e della trasmissione della cultura la sala personale alla XXXVI Biennale di Venezia nel 1972 con i lavori Cultura mummificata, Alfabeti primari e Planisfero con fusi orari. Mentre è un omaggio alla cultura degli Indiani d'America la mostra del 1975 a L'Attico, "Recupero di un mito", dove l'artista, in una serie di foto, assume le sembianze del popolo vinto, la cui arte e le cui tradizioni sono state spezzate.
A partire dagli inizi degli anni Ottanta il lavoro di Mattiacci si sviluppa nella direzione di quelle che Bruno Corà ha definito "Opere spaziali-cosmiche-astronomiche".
Sempre più spesso Mattiacci sfida le grandi dimensioni e nel corso dell'ultimo decennio realizza sculture utilizzando lastre di acciaio cortèn, sfere di ghisa e diversi elementi in ferro. Sulle superfici sono segnate le rotte dei pianeti, le ellissi delle traiettorie celesti, i cerchi concentrici degli ordini cosmici. Dà forma a frammenti di infinito, traccia traiettorie tra la Terra e mete remote, costruisce macchine che sembrano captare immagini da molto lontano.
Nelle sue mostre personali le opere diventano postazioni per comunicazioni interstellari, riflettono cosmogonie celesti, catturano le energie che agiscono nello spazio. così al Castello Miramare a Trieste nel 1987, alla XLIII Biennale di Venezia e alla Galleria Civica di Modena nel 1988, al Museo di Capodimonte nel 1991, alla Galleria Dell'Oca del 1991, alla Fondazione Prada di Milano nel 1993, al Museo d'Arte Moderna di Bolzano e al Centro per le Arti Visive di Pesaro nel 1996, ai Mercati Traiani a Roma nel 2001.
Il riferimento allo spazio cosmico muta, intensificandosi, nelle opere all'aperto, alcune delle quali collocate in maniera permanente, altre installate in occasione di mostre.